Sentenza Corte di Giustizia UE su Google: diritto novecentesco

Roma, 13 maggio 2014 – Pur nel rispetto di un provvedimento molto strutturato e argomentato, l’Istituto Italiano per la Privacy e la Valorizzazione dei Dati manifesta scetticismo sulla sentenza della Corte di Giustizia, sul caso Google Spain vs Agencia Española de Protección de Datos (AEPD) e Mario Costeja González (qui la sentenza).

Sul diritto all’oblio, ci sembra che il nostro Garante Privacy italiano abbia fatto molto meglio della Corte di Giustizia. Da anni, porta avanti un’interpretazione ragionevole che pone gli oneri di cancellazione o modifica dei dati pubblicati sul web a carico dei content provider, come gli editori di giornali, perché sono loro – per loro scopi del tutto legittimi – a diffondere i dati in internet. Fatto sta che nell’interpretazione della Corte, un motore di ricerca – che è un mero sistema di indicizzazione/consultazione di contenuti – diventa Titolare del trattamento dei dati delle persone di cui i siti pubblicano i dati e come tale deve rispondere alle richieste di cancellazione degli interessati. Questo ci sembra parossistico.

Il tema del diritto all’oblio è cruciale e merita sicuramente un grande sforzo di adeguamento legislativo, ma a nostro avviso non può essere affrontato piegando alle esigenze e alle urgenze del 2014 una direttiva scritta nel 1995, quando internet era agli albori e i motori di ricerca nemmeno esistevano.

Di più, la Corte pare applicare una inedita divaricazione di discipline – quasi due pesi e due misure giuridiche – rispetto all’interesse pubblico astratto comportato da un’informazione (ad esempio una notizia pubblicata sul sito di un editore) e all’interesse legittimo dell’utente (noi non avremmo tema di definirlo diritto, anche alla luce dell’art. 10 della CEDU) all’accesso concreto all’informazione nell’era digitale. L’interesse pubblico astratto alla notizia finisce, nella ricostruzione interpretativa della Corte, per pesare di più dell’accesso concreto ad essa, mediante motore di ricerca. Tutto questo non ci pare al passo coi tempi e con le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. C’è da aspettarsi, e probabilmente da auspicare, che sul punto si esprima presto anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.